lunedì 10 febbraio 2014

L'Arrivo del Beato don Gnocchi

Grande festaper la nostra parrocchia: l'accoglienza di don Gnocchi.
In Tarda serata, dopo esser stato a Santa maria della Pace ha raggiunto la nostra Parrocchia.
Un momento di forte emozione.
Alle 20.30 Mons. Matteo Zuppi ha presieduto la Veglia guidata dal Parroco.
Commoventi e profonde le riflessioni lette dagli scitti di don Carlo




Da «Andate ed insegnate» (1934)
Avete mai pesata, anatomizzata questa parola così semplice e così logorata dall’uso? Sacerdote! […] sotto il fragile diaframma di queste poche sillabe, si cela un abisso di grandezza ed un cumulo di misteri! Il sacerdote è il prolungamento, la proiezione di Cristo attraverso i secoli - è la longa manus di cui Egli si serve per continuare la missione salvifica, iniziata due millenni or sono in Palestina […] è il depositario ed il curatore legale degli interessi soprannaturali dell’umanità presso il tribunale di Dio. Per farla breve egli è di Cristo “una specie”, consacrata, come quella eucaristica, a contenerlo ed a velarlo agli occhi malati dei mortali.

Da «Educazione del cuore» (1937)
Lasciatemelo dire proprio qui. C'è troppo panico nel campo degli educatori cristiani. Di fronte ad un mondo che sfoggia tutta la falsa e inebriante opulenza della sua vita, molti si spauriscono, si rannicchiano nel proprio guscio e si abbandonano alle geremiadi o alle invettive.  Com'è tetra l'aria di certi ambienti educativi! Non vi risuonano che allarmi, non brillano nel buio che occhi di semafori rossi. “Guardatevi, figlioli, il mondo è corrotto, non c'è più onestà, non c'è più purezza. Dove andremo a finire? Guai a noi!”. Nulla è più deprimente sull'animo giovanile di queste apocalissi, anche perché nulla è più falso. Bisogna spalancare le finestre dell'anima al più solare ottimismo. […] Bisogna far sentire ai giovani che i buoni non sono pochi, che la virtù esiste ancora, anche se nascosta   anzi appunto perché nascosta   bisogna dar loro il senso corroborante della solidarietà nel bene. “Guai a chi è solo!”. Presto sarà un vinto. Siate sempre ottimisti nella vostra opera di educatori. Fate che i giovani credano nel bene […] perché, dopo tutto, questa è la verità. Chi di noi può essere
pessimista?




Da una lettera dal fronte russo alle Dame di San Vincenzo (15 settembre 1942)
Care Dame, di una cosa sola ha bisogno il mondo e per questo bisogna lottare: di carità e amore evangelico. Ciascuno di noi ha il dovere di anticipare e attuare, per quanto gli compete, l’avvento della carità. È ben poca cosa quello che un uomo può fare, si sa. È una goccia di dolcezza in un oceano amarissimo. Ma pure il mare è formato da molte gocce. Basta che ognuno porti la sua. E se anche gli altri non lo fanno, egli ha adempiuto con questo ad un dovere personale che lo impegna davanti a Dio e del quale gli verrà domandato conto. Non scoraggiatevi, dunque, se di fronte al molto che resta da fare, la vostra opera appare piccola e insufficiente. Dio sa le nostre possibilità.

Dalla lettera al cugino Mario Biassoni (17 settembre 1942)
Caro e buon Mario, a te lo posso dire come ad un grande amico (e sei la prima persona a cui lo confesso così esplicitamente) sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i Suoi poveri. Ecco la mia “carriera”. Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno: perché si tratta di un privilegio. […] A me questa vita da nomade […] fa bene, nonostante gli inevitabili disagi. E poi c’è il Signore che mi aiuta. È questo che ti rende e renderà sempre più vicino a Dio, perché Dio è tutto qui, nel fare del bene a quelli che soffrono ed hanno bisogno di un aiuto materiale e morale. Il Cristianesimo e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente, non domanda altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé.





Da “Pedagogia del dolore innocente” (1956)
Dopo lo scoppio della bomba, Marco, l’unico superstite dei quattro bambini, che, ignari e spensierati, giocavano sul campo minato, era stato immediatamente sotto¬posto all’intervento chirurgico: amputazione delle due gambe, estrazione di un bulbo oculare e regolarizzazione delle vaste e numerose ferite che ne crivellavano il fragile corpo palpitante. Lo vidi qualche tempo dopo l’operazione, quando ancora le medicazioni quotidiane lo facevano tanto soffrire e gli domandai: «Quando ti strappano le bende, ti frugano nelle fe¬rite e ti fanno piangere, a chi pensi?». «A nessuno», mi rispose con una punta di meraviglia nella voce. «Ma tu non credi che ci sia Qualcuno al quale forse tu potresti offrire il tuo dolore, per amore del quale tu potresti reprimere il tuo lamento e inghiottire le tue lacrime e che potrebbe anche aiutarti a sentire meno il tuo dolore?». Marco fissò nel vuoto il viso devastato guardando con l’unico occhio stranito e poi, scuotendo lentamente la testa, disse: «Non capisco...» e tornò a giocherellare distratto con l’orlo del lenzuolo. Fu in quel momento che io ebbi la precisa, quasi fisica, sensazione di un’immensa irreparabile sciagura: della perdita di un preziosissimo tesoro, più intimamente dolorosa dell’incendio di un quadro di Raffaello, o della distruzione di un diamante d’inestimabile valore. Era il grande dolore innocente di un bimbo che cadeva nel vuoto.

Dal Testamento di don Carlo Gnocchi
Innalzo a Dio Padre il mio ringraziamento per la vita che mi diede, e che mi toglie per sua estrema bontà, richiamandomi a Sé. Soprattutto lo ringrazio, in Cristo suo divin Figlio, per i sacramenti di Redenzione offerti all’anima mia, massime per il Sacerdozio, fonte della Santa Eucaristia. […] Alla Madre di Gesù, tenerissima mediatrice di Grazia, raccomando l’Opera alla quale sono lieto di aver dedicato la mia povera vita. […] Ai ricoverati delle nostre Case, a tutti e a ciascuno, (si) distribuisca, segno della mia fraterna tenerezza, l’immagine ricordo. Altri potrà servirli meglio ch’io non abbia saputo e potuto fare, nessun altro, forse, amarli più che io non abbia fatto.

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